Ateismo liquido. La Chiesa di Bergoglio e la sua resa al nichilismo del mercato

La “sdivinizzazione” (Heidegger) in seno alla Chiesa cattolica si è realizzata gradualmente mediante una ridefinizione della religione cattolica che l’ha portata ad adattarsi in misura crescente al disordinato ordine dell’immanentismo radicale della civiltà del mercato assoluto. Con una sorta di deliberata strategia di marketing, nel transito da Ratzinger a Bergoglio, la Chiesa ha scelto di reinventarsi e di mutare se stessa in brand commerciale in grado di stare sul mercato e di diventare merce accessibile a ogni consumatore in forma letteralmente low cost. Tale forma, in forza della quale il buon consumatore può in pari tempo essere un buon cristiano, non contrasta l’ovunque imperante ateismo “liquido”, ma lo promuove e, insieme, ne è figlia. Su questo tema, si veda l’eccellente studio di Marco Sambruna, Il declino del sacro. Rumore sociale, mass media e nichilismo (2017).
Per “ateismo liquido” dobbiamo intendere non già l’ateismo scientifico, tematizzato e rivendicato su fondamenta teoretiche, ma un ateismo “debole” e più insidioso, che è tanto più pervasivo, quanto più non si esibisce e quanto più fa suo il motto di Cartesio, larvatus prodeo.
Se l’ateismo “forte” e solido consiste nel negare l’esistenza di Dio, magari pretendendo anche di dimostrarlo more geometrico, l’ateismo “debole” e liquido risiede, invece, nel pensare e nell’agire come se Dio non vi fosse. L’ateismo liquido dice, formalmente, di credere in Dio e, insieme, aderisce ai canoni del nichilismo relativista della civiltà dei consumi, nei cui spazi ogni valore e l’idea stessa di verità sono negoziabili. Dice, ancora, di credere in Dio e, al tempo stesso, è sempre più indistinguibile dall’ordine mondano: in sostanza, nega Dio sul piano pratico delle azioni, che si svolgono come se, appunto, Dio non fosse.
Così inteso, l’ateismo liquido che sembra aver gradualmente pervaso il mondo e, soprattutto, la Chiesa, trovando il proprio privilegiato luogo epifanico nel pontificato di Bergoglio e nella sua plateale rinunzia alla trascendenza, è la forma per eccellenza che caratterizza la parousia dell’Anticristo: il quale, quando giunge, non si presenta come tale, autocerlebrandosi come negatore del cristianesimo, secondo la modalità del Nietzsche dell’Anticristo; al contrario, si manifesta come vero esegeta di Cristo, quando non come il Cristo stesso, e insieme ne dirotta il messaggio e le pratiche in direzioni contrastanti e, di più, opposte rispetto a quelle propriamente cristiche. Con le parole del romanzo di Roth in riferimento all’operato dell’Anticristo, “il senso della sua esistenza è esattamente quello di profanare il sacro, di svilire ciò che è nobile, di travisare ciò che è retto e di imbruttire ciò che è bello”.
Come si diceva, è di questo genere, con tutta evidenza, l’ateismo oggi imperante nell’Occidente in fase di scristianizzazione e di sdivinizzazione: senza mai ostentare la propria presenza, esso si infiltra ovunque. Invade silenziosamente i discorsi e le pratiche di vita dell’homo vacuus et cosmopoliticus e – questo il punto – anche di quelli che figurano come gli ufficiali rappresentanti delle tradizionali istituzioni religiose.
Soprattutto per via del timore di essere travolta dall’ateismo liquido del mercato e dalla religione iperimmanentista dell’edonismo consumista, la religione cattolica ha progressivamente mutato se stessa, a partire dagli anni Sessanta, demolendo i propri principali fondamenti tradizionali. Ha, cioè, desacralizzato se stessa e si è venuta aprendo, in misura sempre crescente, all’immanentismo assoluto della società a forma di merce.
Come non ci stancheremo di sottolineare, il cristianesimo come religione della trascendenza presenta potenzialmente una sua naturale inimicizia rispetto alle logiche illogiche del capitale assoluto, che tutto deve convertire in merce cirolante e che, eo ipso, non può accettare sfere “sacre” e indisponibili a tale immanentizzazione mercificante.
Anziché resistere all’altera pars, contrapponendo alla religione del libero mercato e dell’immanentismo edonista la potenza della trascendenza e del sacro, ha scelto, nella sua componente principale, di adattarsi al suo naturale nemico. E si è, così, venuta ridefinendo come religione accessibile senza sacrificio e senza rinuncia alla mondanità dell’edonismo trasgressivo legato alle pratiche del consumo compulsivo.
In effetti, nel regno del plusgodimento libertino e dell’immanentismo radicale, in cui ogni desiderio deve essere soddisfatto senza differimenti nell’immediatezza dell’hic et nunc, la religione cattolica ha scelto, per lo più, di apparire tanto più desiderabile, quanto meno impegnativa e quanto più assimilabile senza contrasti allo stesso modus essendi della civiltà dei consumi e alla sua antropologia della vacuità generalizzata.
Si è, appunto, proposta come merce low cost, acquistabile per un modico prezzo in termini di fatica e di rinuncia: non chiede pressoché più, nella sua forma egemonica e secolarizzata, il distacco dalla mondanità e la dolorosa conversione, l’ardua revisione del proprio stile di vita e la messa in discussione delle proprie fondamentali certezze, l’abbandono dei beni materiali o, comunque, la loro relativizzazione.
Proprio in ciò risiede l’erramento principale della Chiesa cattolica nell’ultima fase della sua evoluzione: secondo quella “sconfitta di Dio” evocata da Quinzio, l’ostico e faticoso messaggio cristico è stato rimodellato nella forma di una accomodante verità accessibile a tutti senza fatica e, soprattutto, senza alcuna apertura a Cristo e alla trascendenza. A tal punto che, sotto il pontificato di Bergoglio, il buon cristiano si distingue per la sua capacità non già di resistere al mundus in nome del regno dei cieli, ma di adattarsi al mundus e alle sue norme, segnatamente alla nuova catechesi del politicamente corretto e dei desiderata della classe dominante.