"Azzorre" Cecilia M. Giampaoli

Fonte Immagine: criticaletteraria

8 febbraio 1989

Un aereo sorvola l’oceano. È partito da Bergamo diretto a Punta Cana. L’equipaggio si prepara a fare scalo alle Azzorre, sull’isola di Santa Maria. Alle 13:08, ora locale, un boato. L’aereo si schianta contro il versante di una montagna. Niente fiamme. Nel bosco cala il silenzio. 144 persone perdono la vita, io perdo mio padre”.

Inizia così Azzorre, di Cecilia M. Giampaoli, un libro che rappresenta un viaggio alla ricerca della verità. Questa è una storia vera e la ricerca dell’autrice è quella di una figlia che decide di percorrere l’ultimo viaggio del suo papà, in un viaggio doloroso che ha come obiettivo finale il raggiungimento della pace.

Forse non c’è un momento giusto per fare le cose difficili, ma senza dubbio c’è un momento in cui se vuoi farle davvero non puoi più aspettare”.

Nel 2014 Cecilia decide di partire per Santa Maria, vuole vedere con i suoi occhi il luogo dove è accaduta la tragedia e, in questi luoghi, farà degli incontri molto importanti.

Non ho un vero programma per questo viaggio e seguire il corso degli eventi mi sembra comunque la soluzione migliore, l’unica”.

Cecilia decide di contattare il controllore di volo in servizio quel giorno, i giornalisti che hanno raccontato la vicenda, gli abitanti del luogo che hanno dato una mano nel raccogliere i corpi dei passeggeri. La prima persona che Cecilia incontra è Teresa, che le offre ospitalità e la accoglie in aeroporto; Teresa che vive in una casa troppo grande e che “Ha un cane che sta in giardino insieme ai due vitelli rossi del proprietario”.

Non credo si possa dire che siamo in campagna, perché a Santa Maria la città non esiste. La natura entra ed esce dal paese e lentamente si riprende gli edifici disabitati senza che nessuno ci faccia caso”.

Mentre le pagine scorrono e camminiamo con Cecilia, sapere che stiamo leggendo una storia vera, rende il percorso della lettura emozionante, commovente, avvolgente. Non si può non pensare alla bambina di sei anni che ha perso il suo papà in modo tragico e alla giovane donna che parte per ritrovarlo, e per ritrovare la pace. Probabilmente ogni lettore a un certo punto avrà sospeso la lettura per tirare il fiato e per fare qualche ricerca, magari su Google. Venire a conoscenza di questo disastro aereo, uno fra tanti, certo, e conoscere l’impatto che questa tragedia ha avuto sulla vita di una bambina, che lo sta raccontando, rende il lettore partecipe della sua ricerca, del suo dolore, del suo desiderio di pace e tutto questo rende davvero Azzorre un’esperienza di lettura poderosa, irrinunciabile. Il coinvolgimento emotivo è inevitabile e necessario per entrare nel cuore di questa narrazione.

Devo fare i conti con il lutto”: il dolore non passa se non viene affrontato, un dolore collettivo non è meno dirompente di una perdita solo personale. Non è diverso l’impatto che ha sulla vita di chi lo subisce. Un incidente aereo è così: è un evento collettivo, una tragedia inspiegabile, all’interno della quale, però, sono contenute le vite e le storie delle singole persone, che lasciano un vuoto incolmabile in chi le aveva conosciute, amate, vissute.

Nonostante la delicatezza dell’argomento trattato e la tragedia alla base di Azzorre, l’autrice non cede mai al sentimentalismo. Pur trasferendo al lettore il calore della sua storia, con il desiderio alla base del suo viaggio e della sua ricerca, il racconto non diventa mai sentimentale, neanche quando riguarda le emozioni più intime, più personali.

Un giorno ho scritto un elenco dei ricordi che ho di lui, sono quindici o sedici…

Altre cose credo di averle immaginate, sulla base di quello che mi hanno raccontato, delle foto che ho visto e dei filmini che lui faceva con la videocamera. In fin dei conti, c’è poca differenza fra un ricordo verso e una cosa immaginata, se la immagini bene e ci pensi spesso, diventa un ricordo anche quello. Che male c’è?

Cecilia Giampaoli ci racconta come è nato questo viaggio e questo libro, ci parla del suo papà e di tanto altro.

Prima di leggere Azzorre, io non conoscevo la storia del disastro aereo dell’8 febbraio del 1989. Che cosa l’ha portata ad andare su quei luoghi e raccontare la storia di quel volo e di quel disastro?

L’isola è il punto nel mondo in cui la mia vita ha preso una direzione inaspettata. Non posso sapere come sarei diventata se l’incidente non fosse successo, ma sono certa che sarei diversa: non sarei io. Dovevo tornare lì e, da lì, ricominciare.

Che cosa ha ritrovato di suo padre nel corso di questo viaggio?

Di mio padre ho recuperato piccoli dettagli da aggiungere ai pochi ricordi che ho di lui. La mia ricerca è iniziata sull’isola ed è continuata quando sono tornata a casa. Non è ancora terminata, in questi mesi sto lavorando a un documentario. Ho cercato le fotografie di famiglia e le ho guardate attraverso una lente per essere sicura di vedere tutto. Ho trovato sfumature significative del rapporto di mio padre con il mondo, ma ho trovato anche mia madre: la sua timidezza, la sua malinconia. Mi ha commosso ancora di più perché non era lei che stavo cercando.

Scrivere ha avuto un potere terapeutico nell’elaborazione del dolore? In questo caso di un dolore che non è solo personale, ma anche collettivo.

Non sono una scrittrice di quelle che si siedono alla scrivania e sanno imbastire un romanzo. Io vengo dalle arti e tutto ciò che faccio a livello progettuale attinge da un sentimento di necessità. Non so lavorare in altro modo. Più che raccontare, scrivere per me significa rappresentare, mettere in immagini e suoni: processare la realtà e portare agli altri qualcosa che per me è stato significativo. Credo che tutto possa essere terapeutico, la vita stessa lo è, se viene vissuta con attenzione.

Ho trovato la foto alla fine del libro davvero struggente. Come mai la scelta di pubblicare uno scatto intimo, che rende bene l’idea della grande complicità che può esserci tra una figlia e il suo papà?

Volevo che al lettore fosse dato qualcosa di incontestabilmente autentico: una piccola prova di verità. Quando abbiamo iniziato a parlare della copertina, ho mandato all’editore alcune fotografie. L’aggiunta dell’immagine in fondo è una sua bellissima idea. Quella foto e il nome di mio padre sono i punti più intimi del libro: solo quando li ho visti stampati ho capito davvero quanto fosse delicato quello che avevo consegnato al lettore.

Quanto è importante l’isola in questo libro? Insieme ai suoi abitanti sembra essere la vera protagonista del racconto. Qual è il suo rapporto con l’isola?

Mi manca molto. È un sentimento che non ho mai provato per nessun altro posto, nemmeno - quando sono stata lontana - per la città in cui vivo. Si chiama saudade, me l’ha detto Costança. Chi ha letto il libro sa a chi mi riferisco. È strano pensare che possa sentirmi legata alla terra in cui è morto mio padre ma, durante il viaggio, l’isola ha risposto ai miei cambi di umore con altrettanti mutamenti di luce, suono, colore, pioggia e vento, descrivendo il mio stato emotivo meglio di quanto potessi fare io.

Come definirebbe Azzorre? Un diario, un romanzo, un racconto di viaggio, un documentario: tutte queste definizioni sembrano adatte ma prese singolarmente non sembrano bastare.

È vero, Azzorre è un progetto difficile da inquadrare. Provo a scostarmi dal genere letterario per proporre il paragone che mi sembra più aderente. Azzorre è quello che nelle arti contemporanee sarebbe la registrazione di una performance. Il vero progetto (se parlassimo di arte, diremmo “l’opera”, ma fuori contesto suona decisamente troppo altisonante) è stato partire da sola disponendomi ad affrontare qualsiasi cosa potesse succedere. Il diario registra e prova a restituire quello che è accaduto fuori e dentro di me.

Un’ultima curiosità: la bambina della foto di copertina è lei. Ci racconta la storia della foto?

La foto in copertina è stata scattata da mia madre dopo la morte di mio padre, un anno dopo, forse più. L’ho scelta per lo sguardo perfettamente in bilico fra la leggerezza tipica dell’infanzia e quella forma di malinconia che, a partire dalla morte di mio padre, mi ha accompagnato per tutta la vita. Credo racconti, a modo suo, cosa succede ai bambini che vengono toccati da eventi difficili.