Del totalitarismo angelico

Parlo di ingegneria sociale a proposito del tentativo, coscientemente messo in atto da forze politiche, ong, chiesa cattolica, informazione mainstream, mondo accademico, gruppi economico-finanziari ecc., di trasformare l’Italia, grazie ad un’immigrazione sempre più massiva e incontrollata, in quel che non è mai stata, ossia in una società multirazziale, in quanto il nostro paese, tranne il caso dell’invasione araba, tra l’altro circoscritta nel tempo e nello spazio, oltre che assai contenuta dal punto di vista demografico (non essendo stata una invasione da popolamento), non ha mai conosciuto la presenza al suo interno di consistenti gruppi etnici estranei al comune retaggio europeo, al quale sono infatti riconducibili anche i vari goti, longobardi, normanni, svevi, angioini e aragonesi, di solito chiamati a testimoniare, in maniera del tutto erronea, la presunta multirazzialità della nostra penisola.
In altre parole, si può correttamente usare il concetto di ingegneria sociale appunto in presenza del tentativo di costruire un tipo di società completamente nuovo, e dunque totalmente astratto dalla concreta realtà storica, in quanto rispondente esclusivamente a determinati obiettivi ideologici. Si tratta, è quasi inutile specificarlo, del vecchio sogno totalitario di piegare completamente l’esistente a un progetto che non tenga minimamente conto della realtà ma solo del modello che il totalitario ha nella sua testa, ovviamente spacciato per il migliore dei mondi possibili in termini di giustizia, eguaglianza, inclusività, ecc. Insomma, un totalitarismo angelico, per riprendere la lucidissima definizione d Richard Millet.
Un autore che ha smontato e messo a nudo con notevole precisione questo nefasto meccanismo è stato Karl Popper. In particolar modo, sono due i punti qualificanti dell’analisi popperiana. Innanzitutto vi è l’ordine dei fini. L’ingegnere sociale è convinto che la società che vuole edificare è perfetta o comunque è la più vicina alla perfezione, per cui questo fine va realizzato a prescindere, in quanto si giustifica da sé e pertanto non ha bisogno di consenso e non ammette il dissenso. Ecco perché la società multirazziale va costruita senza tenere in alcun conto cosa ne pensi eventualmente il popolo che è costretto a subirla, ed ecco perché chi la critica va immediatamente stigmatizzato come ‘razzista’. Tutto ciò perché, come afferma Popper, il fine che si propone l’ingegnere sociale è dogmatico, in quanto frutto di un disegno ideologico e quindi indiscutibile e indubitabile.
L’altro punto riguarda l’impossibilità, per mancanza di una base empirica sufficiente, di prevedere razionalmente gli effetti di tale tentativo, che di conseguenza finisce per fondarsi solo sull’assunzione dogmatica del fine ultimo. In pratica, il dogmatismo dei fini impedisce ogni analisi realistica di quali potranno essere, in concreto, gli esiti di una trasformazione così radicale del tessuto sociale. Qui ci troviamo, per dirla in maniera diversa, in presenza della nota coppia elaborata da Max Weber dell’etica della convinzione e dell’etica della responsabilità.
Secondo il celebre sociologo tedesco l’etica della convinzione si nutre di convincimenti assoluti che rispondono solo a loro stessi, non accettando obiezioni o limiti di sorta. In breve, chi è mosso da una tale etica è il classico fanatico ideologizzato che non si pone alcuna domanda sulle conseguenze delle sue azioni perché interessato unicamente al trionfo, a ogni costo, delle sue convinzioni. Ed ecco perché un’etica del genere conduce inesorabilmente al fiat iustitia et pereat mundus, cioè alla realizzazione, costi quel che costi, della propria convinzione, sino al punto di disinteressarsi totalmente di quel che potrebbe accadere di negativo. Al contrario, l’etica della responsabilità tiene conto delle conseguenze razionalmente prevedibili delle proprie azioni, e dunque non è disposta a sacrificare ogni cosa pur di veder trionfare la propria convinzione. Insomma, l’etica della responsabilità, pur animata da forti convinzioni, pena lo scadere in mero cinismo opportunistico o in semplice brama di potere, comunque tiene sempre ben presente la realtà in cui è chiamata ad agire e pertanto non ambisce a distruggerla per edificare un ‘nuovo’ frutto di fanatismo ideologico. In breve, si sottrae al dogmatismo dei fini, rimanendo sempre attenta al contesto, senza avere la pretesa di trasformarlo sulla scorta di un disegno ideologico, bensì calibrando i cambiamenti volta per volta, con razionalità, prudenza e senso della realtà.
Per cui, in definitiva, e per tornare all’esempio dell’immigrazione, il politico responsabile s’interrogherà sempre sui costi economici e sulla loro sostenibilità, sulle possibili ricadute sociali, sui problemi legati alla sfera culturale, sulla necessità di rispondere al proprio popolo delle sue scelte, su quanta immigrazione è concretamente integrabile, avrà cura di non reprimere le opinioni dissenzienti, e così via. Tutto il contrario dell’ingegnere sociale e del suo pericolosissimo costruttivismo.