Finanza assassina. Ecco come ci portano via tutto

Sul fondamento della nuova alchimia bancaria, che muta la carta stampata in oro e, di più, nelle inossidabili catene dell’indebitamento, la classe liquido-finanziaria dei signori della globocrazia no border domina incontrastata.
Essa ha acquisito il monopolio della creatio ex nihilo della moneta e del rating, ossia di quanto pagano i soggetti pubblici o privati per ottenere danaro. Per il tramite di questo perverso dispositivo usurocratico e dei rapporti incestuosi tra economia e politica, tutto il mondo si indebita verso la classe dominante per il semplice tempo che avanza accumulando interessi.
E intanto, mentre le attività dei ceti medi e delle classi lavoratrici sono sorvegliate panopticamente, pratica indisturbata l’attività bancaria fuori da regole e controlli (shadow banking) e financo esternamente rispetto ai mercati regolari (over the counter), operando secondo i canoni di quella dark pool finance, di quella “finanza a porte chiuse”, in cui operatori e operazioni restano occulti.
Le dark pool – su cui ha recentemente richiamato l’attenzione Marco Della Luna in Le chiavi del potere – sono piattaforme finanziarie private e interbancarie, presso le quali si contratta in maniera anonima. Sono veri e propri mercati paralleli rispetto a quelli ufficiali: nei loro spazi deterritorializzati vale la norma della deregolamentazione assoluta e dell’immensa volatilità incontrollata.
L’opacizzazione e l’ipervelocizzazione delle transazioni, oltre alla sistematica evasione fiscale da parte delle top corporations, sono i cardini del sistema della dark pool finance.In quest’ottica si spiega anche il largo impiego, da parte del ceto plutocratico dominante, dei “fondi neri”, disponibili per il management delle banche. Queste ultime lo riciclano, indirizzandolo verso paradisi fiscali di tipo finanziario, quali le isole Cayman, per il tramite di circuiti bancari occultati dal segreto.Tali “fondi neri” sono impiegati, oltretutto, per manipolare i mercati e gli stessi governi, garantendo stabilmente la dittatura invisibile degli oligarchi del capitale finanziario.
Come sappiamo, le istituzioni dell’élite turbofinanziaria, come il Fondo Monetario Internazionale e la Banca Centrale Europea, procedono direttamente contro il keynesismo, il quale prevede che vi sia una banca centrale nazionale con propria emissione di moneta.Al contrario, suddette istituzioni annichiliscono questa base e rimuovono la liquidità mediante strette creditizie e tagli alla spesa pubblica. Il mercato finanziario gestito dai signori apolidi del capitale no border e dai grigi tecnocrati degli spazi cosmopolitizzati, per un verso, sottrae liquidità alle attività produttive. E, per un altro, mantiene i popoli in una condizione di cronica carenza monetaria.In sostanza, se si lascia il popolo in una permanente condizione di deficit di liquidità, risulta poi assai agevole portarlo nella direzione voluta dai globocrati in cambio di temporanee “boccate d’ossigeno”. La prestabilità carenza monetaria figura anch’essa tra le leve fondamentali del metodo di governo liberista gestito dal polo dominante ad usum sui. La virtualizzazione luciferina della turbofinanza ha condotto, in effetti, alla creatio ex nihilo di valori contabili immensi, ma privi di fondamento reale, nonché alle bolle immobiliari e mobiliari, ai crolli e alle recessioni. Per questa via, giovandosi di asset tossici e di palesi frodi finanziarie, il Signore global-elitario rinsalda sempre più il proprio dominio: con la propria governance, impone ai governi le proprie scelte, finanziando mirate politiche e definanziando altre.È questa la prospettiva del governo mondiale, di una cosmopoli gestita autocraticamente dalla deterritorializzata élite globalista dominante. Quest’ultima, oltretutto, si adopera in ogni modo affinché mai sia anche sola presa in esame la possibilità, per gli Stati sovrani (o, meglio, per quel che ne resta) di praticare l’audit del debito: ossia un attento esame della provenienza del debito pubblico e di chi ne è oggi in possesso, per valutare quale parte debba essere pagata, quale restrutturata e quale da dichiararsi in insolvenza. Ancora una volta, la spoliticizzazione dell’economico, funzionale a quella che è stata definita l’end of the nation State, si presenta non solo sotto il sembiante della deregolamentazione del mercato, ma anche nella ridefinizione della politica stessa come mera operatrice dell’economia e come puro braccio armato al servizio della classe egemonica.
Più precisamente, la classe usurocratica al comando esautora e dirige lo Stato con le leve del debito e del rating: mediante la “debitocrazia”, le politiche sono dettate dai mercati speculativi. E lo Stato – quod erat demonstrandum – è disarticolato, spoliticizzato e trasformato in mero garante del dominio dei dominanti. Il sistema di rapina usurocratica e di spossessamento organizzato dei ceti che lavorano opera affinché il debito pubblico possa essere solamente coltivato e mai ridotto o, ancor peggio, estinto. Il debito pubblico, infatti, è uno strumento oligarchico per estrarre ricchezza dalla società e per conservare il dominio su di essa in forma usurocratica.
È, insieme, uno instrumentum regni dell’aristocrazia finanziaria e della sua lotta di classe dall’alto: viene impiegato ad arte per ricattare e controllare la politica degli Stati nazionali, proprio come il debito privato è utilizzato per ricattare e controllare le vite dei soggetti. Così si spiega per quali ragioni il debito debba essere incessantemente – secondo necessità e non per accidente – crescente e matematicamente inestinguibile: esso svolge il ruolo di guinzaglio a strangolo per comandare e dirigere sia il debito pubblico, sia quello privato, soggiogando la politica, nel suo complesso, alla logica del profitto finanziario privato. Quest’ultimo, come sappiamo, si fonda sull’arricchimento non mediato dalla produzione, ma centrato sull’usura e sulla rendita parassitaria, sulla speculazione e sulle frodi a nocumento della società, rectius delle classi che vivono del loro lavoro.