Il Manifesto Comunista: la teoria dell'ovvio

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Nel 1948, Karl Marx e Friedrich Engels pubblicarono, per la prima volta, le 23 pagine che andranno a costituire il futuro (dal 1872) ”Manifesto del partito comunista”.

La società segreta che promosse le idee del cosiddetto “comunismo critico” fu la “Lega dei giusti”. Ed il termine “giusti”, senza alcun dubbio, fa da presagio se pensiamo all’autoreferenziale, quanto boriosa, primazìa che caratterizza spudoratamente gli eredi marxisti nell’era post moderna.

Tralasciando questo dettaglio profetico, le teorie racchiuse nel Manifesto, al grido di “Proletari di tutto il mondo, unitevi”, si rivela davvero rivoluzionario per l’epoca. E la fortuna della divulgazione delle stesse, almeno in un primissimo momento, è da attribuirsi, certamente, allo scoppio dei moti, datati proprio 1848.

Al di là della favolistica, a tratti utopica, rappresentazione di un mondo di totale condivisione, risulta evidente il tratto accentratore che caratterizza l’intera impostazione comunista.
Che i comunisti padroneggino egregiamente i più disparati meccanismi politico-culturali è evidente, che se ne servano per soddisfare interessi personali è inconfutabile. E risulta palese quando, agli inizi del secolo scorso, Vladimir Il’ič Ul’janov, detto Lenin per gli amici, decise di giustificare ogni sua azione politica appellandosi ai classici comunisti ed al Manifesto. Una sorta di richiamo alle “fonti” di romana memoria, quando ci si rese conto che era indispensabile la parola scritta e si decise di introdurre le “XII Tavole” per garantire una, quantomeno apparente, certezza del diritto.
All’epoca del principato e del dominato, fu emanato, invece, il famoso “ius respondendi ex auctoritate principis”: ogni responsum era valido se, e poiché, l’imperatore avesse conferito la propria licenza al giurista. Ironicamente, come se, nonostante l’ordinamento italiano fosse chiarissimo rispetto all’identificazione di un soggetto considerato o meno “di famiglia”, la De Micheli di turno dichiarasse che è congiunto anche il collega di lavoro, in virtù dell’autorità concessa dall’imperatore pro tempore Conte.

Chiusa questa parentesi tragicamente goliardica, dato che la Russia si dichiarò marxista, il libretto fu inserito nel programma di insegnamento delle università, divenendo un classico del pensiero politico. L’opera incentra il proprio ragionamento in opposizione ala classe dirigente dominante, la borghesia, rea di non aver risolto i problemi tra classi bensì di averne poste delle nuove e con rinnovate lotte intestine.
La borghesia, dunque, divenuta élite in seguito alla rivoluzione francese (1789) e dimenticando la propria superata condizione di vittima, diviene carnefice di una nuova classe, quella proletaria.
È chiarissimo un dato: i comunisti, fin dai loro primordi, hanno palesato una propensione eccezionale alla rivoluzione, all’opposizione, tanto quanto quella a fallire nel momento di dare un governo coerente ai propri seguaci. Essi adorano le classi subordinate fintanto rimangano tali, per poi opporsi nel momento in cui le stesse conquistano un miglioramento di vita. È un fatto.

Ciò che rende questo libro attuale è la denunciata tendenza allo sfruttamento del lavoratore. Che, però, non riguarda solo il proletario in quanto tale. Quello che i comunisti fingono di non capire, per poi tradurlo in modo eccellente in propaganda elettorale, è che la tendenza all’assoggettamento dell’uomo all’uomo va oltre la mera classe. La suddetta inclinazione, se vogliamo e tolte le pochissime eccezioni, riguarda l’uomo in quanto tale. E lo spiega esaustivamente il filosofo inglese Thomas Hobbes, rifacendosi all’espressione latina coniata dal commediografo Plauto “Homo homini lupus”. Egli descrive la natura umana quale egoista e ispirata solo dall’istinto animale della sopraffazione. La massima popolare “pesce grande mangia pesce piccolo” ne è l’emblema.
Che vi sia una predisposizione a tutelare i propri interessi, anche se il prezzo fosse (come è) costituito dall’annientamento del prossimo malcapitato non risulta, dunque, una scoperta comunista. Il modo di utilizzare tale assunto per fini propagandistici si!
Essi hanno capito per primi il potenziale enorme dello sfruttare il disagio del più debole al fine di raggiungere i propri scopi, che siano essi elettorali o di natura dittatoriale, come è avvenuto in Russia.

I comunisti rappresentano la concretizzazione reale dell’ “homo homini lupus”, fanno da sempre leva sul malessere sociale per attuare essi stessi una sopraffazione nei confronti del proprio fratello.
La borghesia di Marx, così come i comunisti cubani piuttosto che quelli russi sono figli della stessa madre: la rivoluzione. Essi non puntano a realizzare un mondo più umano, semmai ve ne fosse la possibilità, ma a sostituire la classe dirigente esistente con sé stessi. Punto.
Con ciò non intendo favorire una resa inevitabile all’egocentrismo umano ma voglio condividere con voi una parenesi: non affidate agli altri le sorti del vostro destino, combattiamo noi stessi le nostre battaglie.