Il potere riconquista il consenso

Non si trascuri un altro aspetto degno di nota: il rapporto di forza dominante, grazie all’emergenza epidemiologica, sfruttata o creata ad arte che sia, riguadagna il consenso che, come s’è evidenziato, stava sempre più perdendo nell’era dei populismi, dei sovranismi e delle nuove jacqueries come Occupy Wall Street e le “giubbe gialle” di Francia. La paura e lo smarrimento generali, indotti e amministrati dal circo mediatico e dal clero giornalistico, ma poi anche la creazione di un nuovo nemico “invisibile”, quale è il virus, sortiscono un effetto che è sotto gli occhi di tutti: producono coesione e senso di appartenenza, ma poi anche fiducia nelle istituzioni e, in generale, in chi amministra il potere, da cui ora dipende il trionfo sul nemico invisibile e la conseguente “salvezza” dell’umanità tutta. Proprio come Osama Bin Laden, il “nemico invisibile” utilizzato nella precedente figura dell’emergenza terroristica, anche il Coronavirus, pur nel mutato contesto (medico-sanitario, non più “terroristico” in senso classico), svolge la funzione ideale per chi amministra l’ordine delle cose, principalmente dunque per le classi dominanti e per i governi che rappresentano la continuazione politica dei loro interessi economici. Sempre più, in effetti, gli Stati nazionali, nell’evo del neoliberismo successivo all’annus horribilis del 1989, decadono a “comitati d’affari” della classe dominante, per riprendere l’efficace espressione di Marx.
L’impiego, quando non la creazione, di un nemico invisibile svolge un niente affatto trascurabile ruolo duplice: a) di distrazione di massa, giacché trasla l’attenzione generale dalla contraddizione di classe al piano, prima, del terrorista sans frontières Bin Laden e, ora, del virus “terrorista” (ché anch’esso mette effettivamente a repentaglio le vite); b) di potenziamento del consenso da parte dello stesso potere liberal-capitalistico, che non solo dirotta l’attenzione dalla propria violenza economica quotidiana verso quella del terrorista prima e dell’epidemia poi, ma che può con successo presentarsi come soluzione al problema, come forza in grado di contenere l’attacco e di garantire la salvezza delle vite, se non di tutti, comunque dei più.
L’ordine dominante, che sempre più platealmente appariva come frammentato secondo la dicotomia di servi e signori in seno alla nuova strutturazione oligarchica della società post-1989, può ora presentarsi come unitario e come compattamente impegnato in una lotta senza quartiere contro un nemico esterno, che, principalmente visibile nei suoi effetti e nella narrazione mediatica, richiede senso di unità. Non vi sono più, a livello visivo, servi e signori, sfruttati e sfruttatori, né v’è più, in primo piano, la quotidiana violenza economica perpetrata dalle classi dominanti e sempre legittimata in nome delle imperscrutabili leggi del mercato e dell’economia come nuova teologia della disuguaglianza sociale: “siamo tutti sulla stessa barca”, come ideologicamente va ripetendo la réclame televisiva e giornalista, dacché tutti siamo impegnati sul “fronte” comune della guerra contro l’epidemia (in ciò il linguaggio marziale e il campo metaforologico di ordine bellico svolgono una funzione ideologica di primaria importanza).
Il nemico, per gli sconfitti del globalismo, cessa di essere il potere economico-finanziario dei mercati e della loro classe di riferimento e prende a essere identificato, appunto, con il Coronavirus. Il potere transnazionale tecnocapitalistico, che cominciava sempre più a essere inteso e trattato come la contraddizione principale, può, ora, occultarsi, lasciando il proscenio al virus e alle chiamate all’unità e alla guerra comune contro l’epidemia. Di più, il potere può ora addirittura agevolmente presentarsi come “amico”, perché impegnato nell’asperrima lotta in difesa della vita di tutti e di ciascuno contro il comune nemico che ha dichiarato guerra all’umanità. Mediante la crisi impiegata come metodo di governo e mediante una narrazione sospesa tra il vocabolario medico e quello bellico, la faglia del conflitto si trasla, così, in modo tutto fuorché neutro, dalla lotta di classe, che pure aveva preso a divampare nei già ricordati moti contestativi che stavano cominciando a infiammare il mondo, alla lotta dell’umanità (intesa come un unico gruppo, senza distinzioni) contro il principio maligno del virus. In altri termini, assumendo fittiziamente il ruolo di defensor della salute e della vita, il potere riconquista larghe quote del consenso che stava già da tempo iniziando a perdere: dalla stessa popolazione che iniziava a dubitare di esso, quando non a contestarlo apertamente, la governance globale della classe dominante (nonché le sue amministrazioni locali legate ai governi nazionali) inizia a essere del tutto indebitamente inteso come “benefico” e politicamente “amico”, dacché appunto il nemico non è più, ora, il potere, bensì il virus, contro il quale il potere combatte. “L’economia non è prioritaria”, “la salute viene prima di tutto”, “salvare le vite dall’epidemia è la priorità”: così vanno ora ripetendo, con potenziamento del messaggio garantito dalla grancassa mediatico-giornalistica di completamento, gli stessi membri della classe dominante. I quali, in virtù dell’emergenza e della nuova razionalità politica su di essa incardinata, per un verso spostano l’attenzione delle già da tempo insofferenti e insorgenti classi dominate verso il tema della salute (persuadendole, di fatto, ad abbandonare l’indocilità ragionata che stavano maturando in ambito sociale e politico); e, per un altro, continuano con zelo e con profitto a tutelare e a potenziare, peraltro indisturbatamente, i propri interessi economici di classe.
Il paradosso è che nemico, come il Coronavirus, inizia a essere inteso e trattato anche chi al potere non abbia smesso di opporsi, seguitando nella contestazione che stava prendendo forma prima del Covid-19. Chi non si “arruoli” nel fronte della nuova guerra contro il virus e perseveri, invece, nello “spirito di scissione” rispetto all’ordinamento liberal-capitalistico e alle sue ordinarie “patologie” sociali, politiche ed economiche, nonché alla sua involuzione autoritaria e repressiva resa possibile dal nuovo paradigma emergenziale introdotto con la gestione del Covid-19, è ora considerato come un “negazionista” del virus, come un nemico della “salute pubblica” e come un complottista che non si adegua alla nuova gestione delle cose e delle persone perché non crede che essa abbia come fine ultimo la salvezza delle vite.
Se, per definizione, il nemico è il virus e amico è chi cerca di contrastarlo, id est il potere, ne segue sillogisticamente che, per l’ordine del discorso – che si erge a ideologia generale dai più condivisa con falsa coscienza necessaria –, diviene alleato del nemico e, dunque, a sua volta nemico chiunque non collabori fattivamente con il potere o, peggio ancora, osi contestarlo e metterlo in discussione, anche solo a livello teorico.
Ancora, se il potere, per definizione, agisce per sconfiggere il nemico invisibile e, per farlo, chiede, come in ogni guerra, sacrifici e rinunce in termini di diritti e di libertà, quanti a questa riorganizzazione autoritaria si oppongano vengono, eo ipso, considerati e trattati alla stregua di alleati del virus e non come eventuali liberatori anche dagli stessi membri delle classi dominate, il cui immaginario è stato colonizzato dal nuovo ordine del discorso medico-scientifico.