Il Socialismo liberale salverà il mondo

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Sono socialista. Lo sono sempre stato, anche quando non sapevo cosa fosse.

Quando mi avvicinai alla politica, alle medie, il mio mito era Che Guevara. Un mito, appunto: “fatto esemplare idealizzato in corrispondenza di una carica di eccezionale e diffusa partecipazione fantastica o religiosa”. La delusione per la scoperta di ciò che non era mi portò ad uno stato disillusorio da cui scaturì totale contrarietà. Se c’era un cattivo, pensavo, era deduttivo supporre l’esistenza di un buono che contrapponesse le proprie idee al soggetto precedente.

All’età di trentaquattro anni, posso affermare con certezza che non esiste buono né cattivo, c’è solo l’uomo in quanto tale.
Ogni uomo tende a conservare il proprio status, patrimoniale e non, una volta conquistato. E’ la natura. E tale fisiologica norma non risparmia nessuno: è la storia che lo stabilisce.
La nostra società è frutto di quella mentalità.
Geniale! Perchè? Perché sempre la storia ci consegna una verità inconfutabile, non possono esistere rivoluzioni praticabili se non si concretizzano effettivamente le condizioni di vita estreme affinchè il popolo insorga. Pensate che la regina Maria Antonietta avrebbe suggerito <>, se avesse conosciuto l’evolversi degli eventi? Non credo.
Quindi, chi ha creato la società in cui viviamo, con tutte le relative preoccupazioni e le connesse uscite di emergenza, è un GENIO!
Tale stratagemma ci ha resi tutti, o quasi tutti, schiavi in un limbo, che chiamiamo vita quotidiana, che ci fornisce il minimo per sopravvivere. E, se non riusciamo ad arrivare a fine mese, non sarà un problema: ci sarà concesso di attingere a più ore di straordinario a lavoro o si rinuncerà alle cibarie di qualità, non sarà la fine del mondo ma solo della nostra salute. E saremo contenti. Questa nostra abitudinaria follia, questa routine incessante, ci restituisce l’illusione di vivere bene, perché in rapporto a chi sta peggio noi stiamo messi sicuramente meglio.
Ecco spiegato il motivo per cui non possiamo e non potremo mai assistere ad una vera rivoluzione occidentale, come quelle che si tentano in medioriente o in Africa: abbiamo paura di perdere ciò che abbiamo.
Ma siamo sicuri di possederlo veramente? Disponiamo davvero ciò che concepiamo nostro di diritto? Il compromesso a cui abbiamo scelto di sottoporci ogni giorno e il quale stiamo insegnando ai nostri figli a sottoporsi è talmente contorto e contronatura che permette ad 8 persone (otto!) di possedere (loro si!) la medesima ricchezza di 3,6 miliardi di persone. Il rapporto Oxfam ci dice che in Italia il 10% della popolazione più ricca ha visto incrementare il proprio reddito del 29% e che il 50% della popolazione più povera ha perso il 24% dei propri ricavi. Il risultato è che i ricchi sono diventati più ricchi, il ceto medio è praticamente estinto e i poveri sono pressocchè ridotti alla fame. L’abilità, come accennato in precedenza e qui la genialità, è di aver concesso alla maggioranza dei cittadini quel poco per sopravvivere, tanto da incutere negli stessi il timore che possano essere privati persino di quel minimo che finora è stato concesso loro. Tutto questo non è più accettabile!

Non ho l’ingannevole presunzione di trovare la formula della pace nel mondo, ma , perlomeno nella mia Italia, penso che qualcosa in più possa essere fatto per garantire un minimo di riequilibrio sociale. E non ditemi che la mancetta elettorale del reddito di cittadinanza, con annessa campagna propagandistica dei navigator, abbia risolto la povertà.
In Italia, più che in altri Paesi comparabili, è palpabile l’esigenza, più volte inascoltata, di una redistribuzione del reddito. Un riordino salariale che non può tradursi semplicemente in patrimoniale, troppo semplice, bensì in abbassamento delle tasse con annessa ricerca di nuovi introiti statali. Quali? Sfatando il taboo della legalizzazione delle droghe leggere nonché della prostituzione, da assoggettarsi ovviamente ad un serio e srupoloso controllo statale. Ciò permetterebbe allo stato italiano di gestire nuove forme di guadagno da reinvestire in modo saggio, introducendo, anche e finalmente, il tanto e da troppi propagandato salario minimo, baluardo delle inconcludenti sinistre italiche.
La verità, dunque, è sempre nella moderazione ma non per questo non è da considerarsi quale imperativo categorico battersi per l’uguaglianza sociale.

 

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