Il suicidio assistito ed il torpore del legislatore: senza una legge manca una soluzione appagante

Mario (nome di fantasia) ha 43 anni e dopo un grave incidente da dieci anni è irreversibilmente tetraplegico. In un recente audio diffuso dall’ "Associazione Luca Coscioni" lo stesso ricorda di star «combattendo come un leone, ma sono stanco di vivere una vita che di naturale e dignitosa non ha più nulla. Voglio essere libero di scegliere il mio fine vita. Nessuno può dirmi che non sto troppo male per continuare a vivere in queste condizioni». Un vita definita «di torture, sofferenze e umiliazioni che io non sopporto più». E conclude affermando che «si devono mettere da parte ideologie, ipocrisie e indifferenza».
La conclusione colpisce profondamente perché dopo quella “indifferenza” sembra restare solo il silenzio. Un’imbarazzante silenzio legislativo dinanzi alla sofferenza di Mario, come di tante persone nelle sue stesse condizioni ed innanzi ad una decisione della Corte Costituzionale, che con sentenza n. 142/2019 aveva già ritenuto – a certe condizioni – l’illegittimità costituzionalmente dell’articolo del codice penale che sanziona l’aiuto al suicidio.
In particolare, la Corte Costituzionale con la “sentenza Cappato”, riguardante il caso di Fabiano Antoniani (meglio noto come dj Fabo), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’articolo 580 del codice penale per la parte relativa all’aiuto al suicidio, laddove “non esclude la punibilità nei casi in cui è fornito a una persona tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale, affetta da una patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze, ma pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli, sempre che tali condizioni e le modalità di esecuzione siano state verificate da una struttura pubblica del Servizio Sanitario Nazionale, previo parere del comitato etico territorialmente competente”.
Il suicidio assistito sarebbe, quindi, non punibile a condizione che: 1) riguardi una persona affetta da patologia irreversibile, fonte di intollerabili sofferenze; 2) la persona sia pienamente capace di prendere decisioni libere e consapevoli; 3) la persona sia tenuta in vita da trattamenti di sostegno vitale; 4) le condizioni e le modalità di esecuzione siano verificate da una struttura del SSN previo parere del comitato etico territorialmente competente.
Tali requisiti, come ha affermato la Corte Costituzionale, “valgono per i fatti successivi alla pubblicazione della presente sentenza nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica”.
Ebbene, proprio in applicazione dei criteri dettati dalla Consulta il Comitato Etico Regione Marche (Cerm) ha attestato che Mario «possiede i requisiti» per l’accesso legale al suicidio assistito. Il parere positivo arriva per la verità dopo un primo no dell’Asur, che negò a Mario persino l’attivazione delle procedure di verifica ed un secondo no del Tribunale di Ancona, che di fatto ha disconosciuto la sentenza della Corte Costituzionale. La svolta è arrivata a seguito di reclamo all'ordinanza di diniego, che ordina all'Azienda sanitaria unica regionale delle Marche di provvedere, previa acquisizione del relativo parere del Comitato etico territorialmente competente, ad accertare l'esistenza delle condizioni previste dalla Consulta.
E così oggi Mario potrebbe diventare il primo in Italia a ottenere il via libera al suicidio medicalmente assistito, dopo la sentenza n. 242/19 senza dover trovare soluzioni in altre nazioni come nel caso di Dj Fabo.
Potrebbe perché è solo di ieri la diffida (ennesima) di Mario all’Azienda sanitaria unica regionale delle Marche (Asur) “ad effettuare come previsto dal Tribunale di Ancona in tempi brevissimi le dovute verifiche sulla modalità, la metodica e il farmaco idonei a garantire la morte più rapida, indolore e dignitosa possibile”. Intanto però l’assessore alla Sanità delle Marche Filippo Saltamartini ha chiesto un parere all'Avvocatura regionale. Alla paralisi fisica di Mario così si aggiunge quella - insopportabile - della burocrazia.
Il caso di Mario mi porta ad alcune riflessioni sull’inerzia del legislatore innanzi al decisum della Consulta. E’ evidente come il torpore del legislatore non è per nulla scalfito da alcuna iniziativa popolare, vicenda mediatica, quale quella di Dj Fabo o del Sig. Mario, e perfino dall’ultimatum della Corte costituzionale.
Vero che in Italia vi è una legge, la n. 219 del 2017, (Norme in materia di consenso informato e di disposizioni anticipate di trattamento), che pone al centro dell’esercizio del diritto alla salute la libertà di scelta, ma tale intervento legislativo fu frutto di un compromesso politico, che ha escluso dalla sua disciplina l’eutanasia e l’aiuto al suicidio, coperte dal divieto penale.
Mi chiedo allora può il Parlamento omettere di intervenire in una disciplina costituzionalmente necessaria in presenza di una sentenza della Corte Costituzionale? Emersa la lacuna costituzionale può essere obbligato ad intervenire? In altre parole, esiste in capo al Parlamento un’obbligazione positiva a fare?
Ebbene, per l’autonomia delle Camere non può essere imposto evidentemente all’organo rappresentativo di fare qualcosa. E tuttavia, senza snatura tale autonomia credo che un obbligo sussiste seppur non coercibile e deriva dalla Costituzione. Difatti, la Consulta con la sentenza n. 142 del 2019 risolve il caso proprio sulla base della Costituzione e delle leggi vigenti, andando ad individuare i requisiti di non-punibilità dell’aiuto al suicidio, integrando ed innovando l’ordinamento ed andando a porre di fatto rimedio al letargo legislativo.
Con la decisione sul suicidio assistito siamo innanzi ad uno schema decisorio inedito, ovvero quello del rinvio dell’udienza a data fissa. Per dirla in modo spicciolo la Consulta aveva già individuato l’illegittimità costituzionale con l’ordinanza n. 208 del 2017 e con il rinvio aveva dato un “ultimatum” al Parlamento per intervenire in via prioritaria, pena la dichiarazione di incostituzionalità della norma. Tale schema è stato poi ripreso in altre due circostanze, ovvero in tema di sanzione penale per la diffamazione a mezzo stampa (ord. n. 132 del 2020; comunicato del 22 giugno 2021) ed esclusione del beneficio penitenziario della libertà anticipata per gli ergastolani rei di gravi reati di criminalità organizzata che hanno deciso di non collaborare (ord. n. 97 del 2021, con rinvio al 10 maggio 2022). La vicenda Cappato decisa dalla Corte Costituzionale è un caso di strategic litigation, in cui l’obiettivo è politico-istituzionale e prescinde dalla soluzione del singolo caso nell’ottica di dare uno scossone al sistema e non confinare la fattispecie al singolo Tribunale giudicante (ove per la verità la Procura della Repubblica nel caso Cappato aveva anche già chiesto l’archiviazione).
Ed allora, nell’indifferenza legislativa oggi la procedura per potersi avvalere di un’assistenza al suicidio legittima è già in vigore, nella modalità prevista nella sentenza n. 242 del 2019 della Corte Costituzionale.
Tuttavia, l’ordinamento fatica a riempire il vuoto dell’omissione parlamentare, come testimonia proprio la paralisi burocratica nel caso del Sig. Mario, benché la base giuridico-costituzionale sia solida e chiara.
La tappa successiva per smuovere il Parlamento sarà il referendum abrogativo che possa consentire l’eutanasia a date condizioni. Il referendum per l’abrogazione di parte dell’art. 579 del codice penale, “omicidio del consenziente” ha raccolto un milione e duecentomila firme, che sono state depositate in Cassazione l’8 ottobre 2021, a riprova che la questione tocca profondamente l’opinione pubblica. Le firme raccolte dovranno essere vagliate dall'ufficio centrale per i referendum della Cassazione che ne deve verificare la validità. In caso positivo, spetterà alla Corte Costituzionale verificare l'ammissibilità del quesito. Se anche dai giudici costituzionali ci sarà il via libera, i cittadini saranno chiamati alle urne per il voto in una domenica tra il 15 aprile e il 15 giugno 2022.
Anche in Commissione Giustizia e Affari Sociali della Camera è stato approvato il testo base del progetto di legge in tema di aiuto al suicidio, a ben sei anni dalla presentazione della proposta di iniziativa popolare. Martedì 22 novembre 2021 nelle Commissioni Giustizia e Affari sociali della Camera si è tenuta un’importante seduta ed una altrettante importante apertura. Difatti, i relatori (Bazoli e Provenza) alla legge che deve attuare la sentenza della Consulta 142/19 hanno accolto diverse proposte del centrodestra, a partire da quella sull’obiezione di coscienza per il personale sanitario. La seduta è stata rinviata per l’inizio del voto. L’apertura è un primo passo per arrivare ad un provvedimento condiviso di cui si spera di vedere in breve i risultati.
In conclusione, con la decisione sul caso Antoniani/Cappato la Consulta ha trovato la spinta per occuparsi di divieti assoluti vigenti in tema di dignità e libertà di scelta nella fase finale della vita, elaborando uno strumento di intervento che potrà essere veicolo di responsabilizzazione di Camera e Senato. Tuttavia, al di là di questo, per un diritto penale minimo, forgiato sulla matrice liberale per cui l’effettiva tutela dei diritti non dipende dalla criminalizzazione di nuovi comportamenti o dall’innalzamento delle pene, è necessario un cambio di mentalità politica. Insomma occorre prendere atto che senza Parlamento le questioni vengono sì affrontate, vivisezionate, e anche in parte risolte, ma mai in modo veramente appagante.