L'anno che verrà

Caro amico…
Una volta la scrittura e la lettura - di conseguenza - erano tra le poche attività d’intrattenimento conosciute all’uomo. D’altronde ogni periodo storico ha eletto determinate attività a proprio specifico passatempo: dalle pitture rupestri dell’età della pietra ai cruenti e sanguinosi spettacoli offerti dagli affollatissimi anfiteatri romani, passando per i raffinati teatri greci, fino a giungere alla nostra attuale società, la società dell’immagine per eccellenza. E non più un’immagine statica, definita, cristallizzata, ma in perenne e continuo movimento. Il consumismo dilagante e la necessità di accedere senza posa a contenuti sempre nuovi, sempre diversi, ha reso a tutti gli effetti il singolo fotogramma pura carta straccia, facendo terra bruciata dei vecchi album di famiglia e delle istantanee incorniciate e sospese qua e là per gli ambienti della casa, prontamente sostituite da pad e tablet con slideshow annessi. Che piaccia o non piaccia, viviamo il millennio della fluidità, del continuo divenire e non è un caso se il divertimento più ricercato negli ultimi anni si sia spostato sullo schermo. Il boom delle piattaforme streaming (facilmente accessibili e in aggiornamento costante) ne è una prova lampante: non è più possibile immaginare un’esistenza senza serie tv e film. Giusto per dare due dati, pur se intaccati dal profondo rosso pandemico: dal 1921 in poi sono stati prodotti circa 2500 film l’anno. Da allora la crescita statistica è stata alquanto moderata ma ininterrotta, fino al traguardo dei 4500 film l’anno, raggiunto nel 2005, e poi magicamente doppiato appena 10 anni più tardi con quasi 10.000 pellicole.
La produzione cinematografica non è solo cresciuta da un punto di vista quantitativo e qualitativo, ma è riuscita a penetrare profondamente in ciascun settore della nostra vita. È facile accostare a sentimenti, ricordi o emozioni scene di determinati film. Questo perché i lungometraggi hanno maturato anche la possibilità di incidere sui nostri rapporti con l’altro, con noi stessi, con i nostri portavoce governativi. Ad affiancare tanti titoli gettati in pasto ad una visione leggera e più dedita a avventure funamboliche e incredibili, ci pensano infatti opere che rassomigliano a vecchi saggi o pamphlet e che, volontariamente o involontariamente, non possono non influenzare il pubblico anche fuori dalla sala di proiezione.
Ecco perché è importante fermarci, ora che un anno è giunto al termine ed un altro ne sta prendendo il posto, per dare luogo ad un immaginario “appello” e riflettere su cosa ci offriranno quest’anno le locandine.
Da un punto di vista prettamente commerciale, sarà un anno di grandi ritorni: dalla ricomparsa dell’orco verde preferito dai più piccini (Shrek, giunto al suo quinto capitolo), alla riapparizione di svariati personaggi degli universi fumettistici ormai divenuti habitué del maxischermo (dal Batman di Pattinson al nuovo Spiderman in formato cartoon). C’è hype anche per il seguito del blockbuster Avatar, capace di imporsi 13 anni fa come uno dei film al tempo stesso più costosi e più visti nella storia del cinema. Occhi puntati anche su Killers of the Flower Moon e Licorice Pizza.
Spostando invece i fari su di un cinema più “di nicchia”, il lungometraggio che potrebbe fare più rumore è probabilmente Belfast, una sorta di autobiografia sentita e delicata di uno dei più grandi registi viventi del nostro continente, Kenneth Branagh, vissuto nel pieno del conflitto tra le due Irlande. A dirla tutta il film, girato in bianco e nero sulla scia di alcuni illuminanti predecessori (pensiamo a Roma di Cuaròn) ha visto la luce nel 2021, venendo presentato in tutte le sale del globo in settembre, ma ha ricevuto una tiepida accoglienza nel Belpaese. Le cose però potrebbero cambiare dopo la cerimonia degli Oscar, in cui Belfast sente odore di piazzamento importante. Nel caso ve lo foste perso al cinema, potrebbe esserci l’occasione di rivederlo. Interamente al 2022 invece appartiene un altro film targato Branagh, un nuovo caso tratto dai libri di Agata Christie: dopo Assassinio sull’Orient Express, sarà la volta di Assassinio sul Nilo, con il coinvolgimento dell’amatissimo Hercule Poirot. Un film che potrebbe passare in sordina è di certo The Northman, che torna in scena dopo la lucente perla The Lighthouse. La sceneggiatura del suo ultimo lavoro, messa in piedi con l’aiuto di un poeta scandinavo, ripercorre le gesta di un vichingo Amleto, volenteroso di vendicare la dipartita del padre. Ad attendere al varco lo spettatore, numerose scene fortemente simboliche oltre alla (garantita) ottima interpretazione di attori del calibro di Nicole Kidman e Willem Dafoe (giustamente, feticcio dell’autore).
Spostandoci su suolo italico, vale la pena di spendere due parole per America latina e Siccità. Il primo titolo si basa su di un riuscito gioco di parole, dato che il protagonista di questo scomodo e intricato girato dei fratelli D’Innocenzo svolge la mansione di dentista a Latina. La sua sembra una vita normale, fino ad un vero e proprio incontro con l’assurdo nel suo scantinato. Un viaggio all’interno di sé stessi e della propria psiche, con quei toni magicamente cupi, asfissianti, intrigantemente dolorosi che solo i D’Innocenzos brothers stanno riuscendo ad inscenare nel panorama filmico italiano degli ultimi anni (ne sono la riprova La terra dell’abbastanza, Favolacce e il soggetto realizzato di concerto con Garrone per Dogman). Attira e repelle invece la nuova trovata di Paolo Virzì, Siccità. Una sorta di tetro dramma fantasy ambientato in una Roma dove non piove più da circa tre anni, con tutte le conseguenze che ne derivano. Un film che sembra inserirsi nel solco di Lo chiamavano Jeeg Robot e che pare “tangentemente” ispirarsi al romanzo distopico Anna di Niccolò Ammaniti.
Interessanti infine la prosecuzione di Chiamami col tuo nome, film che consacrò la figura di Chalamet e ottenne anche il riconoscimento ufficiale con la statuetta degli Awards per la migliore sceneggiatura non originale, così come l’opera ultima di Genovese, Il primo giorno della mia vita.