La bambina dagli occhi d’oliva. “Quello che facciamo ai bambini resta per sempre”

Fonte Immagine: lafeltrinelli

Con La bambina dagli occhi d’oliva Davide Grittani ci consegna un romanzo struggente, duro e necessario, che fin dalla dedica a Dolores O’Riordan indica la strada che il lettore si troverà a seguire.

Difficile definire questo romanzo: non è un giallo, non è un noir e non è nemmeno un thriller; La bambina dagli occhi d’oliva è piuttosto un affresco sociale, la descrizione di due famiglie, dei loro segreti e delle conseguenze delle loro azioni e delle loro scelte. La famiglia di Sandro Tanzi e la famiglia di Angela Capone, la piccola Angelica; due appartamenti vicini, due storie che si incrociano in più momenti nel corso della vita, portando al disvelamento di segreti oscuri con conseguenze inimmaginabili.

Quello che facciamo ai bambini resta per sempre”: i delitti e i misfatti ai danni dell’infanzia non possono trovare perdono, mai; avranno invece sempre un prezzo da pagare, anche dopo anni, anche quando tutto sembra dimenticato. Può bastare un disegno sulla parete di un appartamento nel centro di una città alla deriva, ritrovato sotto la carta da parati nel corso di una ristrutturazione, o possono servire le parole di una donna che sembra ormai preda di una demenza senile che non lascia scampo: eppure quelle parole, vaneggianti solo in apparenza, indicano la strada, la strada verso una verità che Sandro avrebbe, forse, preferito non conoscere mai.

Il peso della verità sa essere schiacciante e non sempre l’amore può rappresentare una soluzione. Si può ignorare tale verità anche se il prezzo da pagare è altissimo? Anche se viene messa in discussione la storia di una famiglia? Anche se non sarà più possibile tornare indietro? Anche se i sensi di colpa possono diventare insopportabili?

La narrazione della storia è accattivante e inarrestabile, colpisce il lettore e lo scuote nel profondo: nonostante i momenti in cui sembrerebbe necessario chiudere il libro e tirare il fiato, in realtà non è possibile interrompere la lettura. Non è possibile smettere di interrogarsi su quanti segreti si celino dietro le facciate più irreprensibili. Questa lettura rende necessario chiedersi quanta attenzione diamo ai nostri bambini, che sembrano sempre più delle "entità" da cui ci si aspetta tanto in termini di prestazioni ma a cui si dà davvero poco ascolto e poca importanza per quello che realmente sono e non per quello che gli altri vogliono che diventino. Ancora, non è possibile evitare di chiedersi quale destino e quale mondo stiamo lasciando ai nostri anziani, spesso chiusi in dorate case di cura, lasciati all’attenzione di stranieri che a volte fanno di questa necessità di prendersi cura il senso della loro vita. Non si può far finta di non vedere il nuovo volto delle nostre città, tra centri scommesse, solitudine e palazzi sempre più simili a prigioni.

Davide Grittani con la sua consueta disponibilità e generosità mi ha raccontato un po’ di questo romanzo, di come è nato e di come viene accolto dal pubblico!

Il libro si apre con la dedica a Dolores O’Riordan. Come mai questa scelta?

Appartiene a un sentimento di risarcimento, molto forte, che sento di dovere nei confronti di tutti quei bambini la cui infanzia è stata compromessa – o addirittura segnata per sempre – da una violenza, da un sopruso, da un abuso. Da uomo e da genitore mi sento in debito con loro, con le loro vite. In debito in quanto adulto che, insieme alla società degli adulti, cioè a quei riferimenti sociali che avrebbero dovuto rappresentare una guida per l’infanzia, incarna invece il fallimento di tutti. Quello che è successo a Dolores è simbolico, altamente simbolico. Erano i genitori ad accompagnarla ogni giorno dal suo aguzzino, perché si fidavano di lui. Tutti i giorni per quasi 5 anni. Dolores è stata violata due volte, dai suoi genitori e dalla persona di fiducia dei suoi: queste, prima ancora che violenze che restano per sempre, sono tradimenti. Che i bambini scrivono nella propria scatola nera come colpe, colpe di cui nessuno si fa carico. C’è tutto un mondo da vivere, cosa volte che importi di un bambino sempre col broncio. Invece per me quel broncio è la fotografia di un disappunto che va interpretato, l’immagine di un tradimento.

Il tema del libro è difficile e necessario, e affrontarlo presuppone un grande coraggio e anche la paura di sbagliare. Che cosa ti ha spinto a scrivere questo romanzo?

Credo di aver già risposto in parte, a questa domanda. Io sento, sulla mia schiena, di aver accumulato un debito morale e sociale molto alto con questa infanzia, sulle cui spalle abbiamo fatto ricadere di tutto … anche le colpe di una pandemia (che dati alla mano, i bambini e gli anziani di tutto il mondo sono stati gli unici a pagare in prima persona). E da scrittore credo che l’unico modo per saldare questo debito sia occuparsene in questo modo, diretto e feroce. Io penso che gli scrittori abbiano un compito etico e morale, che debbano farsi carico delle responsabilità sociali delle cose che scrivono e di come le scrivono. Io mi sono assunto, nel mio piccolo, le mie responsabilità. Ed ho chiesto al mio romanzo di fare lo stesso, di assumere su di sé responsabilità altissime. Non è una strada facile, non sono un giallista che chiede a un commissario di polizia di spostare la suspense di un delitto un poco più in là … con l’intento di trascinare il lettore fino alla fine. Io chiedo al Lettore di impegnarsi quanto me, di soffrire insieme a me. E di smetterla di considerare i libri impegnati una iattura, perché questo Paese – in cui i danni delle televisione commerciale sono visibilissimi, sotto ogni aspetto – a mio avviso ne avrebbe bisogno come il pane.

Il protagonista, Sandro, è il proprietario di un centro scommesse. Personalmente non amo questo tipo di attività commerciale che sta invadendo le città in ogni angolo. Perché proprio un centro scommesse? Il nome poi sembra essere una provocazione, Winner, vincitore. Davvero c’è qualcuno che riesce a uscire vincitore da quei posti (oltre, ovviamente, ai proprietari che si riempiono le tasche con le sofferenze di chi li frequenta)?

Questi sono i posti che durante il giorno facciamo finta di non vedere. Come le mense della Caritas, i dormitori, le parrocchie delle chiese in cui persone bisognose – tra le quali moltissimi italiani, quasi più italiani che stranieri – vanno a mangiare, a farsi la doccia e a cambiarsi perché non hanno un posto in cui farlo. Poi cala la sera, e si accendono le insegne di posti come il Winner. E solo allora ci accorgiamo della loro esistenza. Del fatto che centinaia, migliaia di persone, affidano a questi posti le loro speranze e le loro residue forze. Dentro questi posti ci sono entrato molto volte prima di scrivere, ed ho capito che loro sanno riconoscere quelli di famiglia da quelli che – come me – sono lì solo per curiosare. Che vuol dire? Che non abbiamo solo separato i luoghi in cui si compiono i vari destini. Ma abbiamo separato anche le interazioni, che dietro la lavagna non ci sono finiti solo i cattivi ma anche i dispersi: quelli che non abbiamo capito fino in fondo, e che per non perdere altro tempo abbiamo preferito rinchiudere in una sala scommesse.

Quello che facciamo ai bambini resta per sempre”. Il tema dell’infanzia è molto forte in questo libro ed era centrale anche ne La rampicante. Come li stiamo trattando, oggi, i nostri bambini?

Mai prima d’ora, come in questi ultimi dieci anni, il corpo dei bambini aveva assunto una marginalità così sfacciata, così esibita. I bambini vengono presi per i piedi, gettati nel vuoto da un balcone (episodio recentissimo), oppure vengono presi e rapiti per una faida famigliare e dopo che hanno perso entrambi i genitori su una funivia (anche qui la cronaca è così esplicita da lasciarci muti). Il corpo dei bambini è diventato uno strumento di soddisfazione delle nostra infelicità, un piccolo feticcio su cui scatenare le nostre ire e le nostre perversioni. Ecco perché quello che facciamo ai bambini resta per sempre, non ci rendiamo affatto conto che queste cicatrici … questi traumi e questi delitti, piccoli o grandi che siano, condizionano la vita di un adulto per sempre. Non è affatto casuale che i pedofili siano, in oltre il 70% dei casi, persone che a loro volta hanno subito violenza durante la loro infanzia. Dolores O’Riordan sembrava aver apparentemente superato i traumi di una violenza ininterrotta per cinque anni, fino al punto da diventare una delle più grandi cantanti al mondo. Ma dentro sé custodiva un cane nero e feroce, il suo passato. Così aggressivo da morderla e mangiarla pezzo per pezzo fino alla fine, a conferma del fatto che quello che facciamo ai bambini rimane per sempre.

Che tipo di accoglienza ha ricevuto questo romanzo (per me bellissimo, davvero)? Hai ricevuto messaggi da parte di persone che si sentivano direttamente coinvolte da questa vicenda?

L’accoglienza della critica e dei giornali è stata eccellente, ed io e la casa editrice (Arkadia) non possiamo che esserne felici, molto felici. Anche di come stia andando complessivamente, a soli venti giorni dall’uscita del romanzo in libreria. Ma sono i giudizi privati dei Lettori, i commenti che ricevo in continuazione, che mi fanno sperare che il libro sia arrivato e che sia arrivato molto bene, che tutto il sacrificio e le rinunce fatte per scriverlo … siano valsi a qualcosa. E’ stata dura, soprattutto in certe scene del romanzo, perché sono un padre di tre figli. Ma era necessario, era necessario perché il compito di un romanzo vero è quello di scuotere e non quello di consolare. Ricevo anche messaggi e lettere di gente, uomini e donne, che hanno subito violenza in età infantile, e questa complicità di conferma che un romanzo così non solo andava scritto ma che – mi auguro, lo spero – lasci una traccia del suo passaggio dentro tanta narrativa di evasione. Ecco, per chiudere mi piacerebbe che l’evasione venga chiesta – anzi pretesa – da altri contesti e da altri contenitori culturali, ma che ai libri vengano lasciati un rigore e un serietà che non sembra appartenerli più.