La storia segreta del distanziamento sociale e del lockdown…

Fonte Immagine: avig

La strategia del distanziamento sociale e dell’isolamento domiciliare forzato (o lockdown) non è un’invenzione subentrata con il Covid-19, contrariamente a ciò che i più pensano. Era, anzi, già stata teorizzata, nel 2005, dai dottori del governo federale Richard Hatchett e Carter Mecher. Dopo l’attacco terroristico delle Torri Gemelle, il governo Bush non escludeva, infatti, possibili epidemie, magari anche legate ad attacchi bioterroristici. E, proprio al fine di elaborare un piano di resistenza all’ipotesi di un’epidemia su larga scala, nominò il dottor Hatchett e il dottor Mecher.

La vicenda non ha nulla di complottistico o di “dietrologico”, tant’è che è narrata senza veli perfino dal “New York Times”, che così titolava in data 22 aprile 2020: The Untold Story of the Birth of Social Distancing (LINK: https://www.nytimes.com/2020/04/22/us/politics/social-distancing-coronavirus.html). Dalla narrazione del “New York Times”, apprendiamo che i due medici teorizzarono una social-distancing guideline volta a contenere la diffusione dell’ipotetico virus. Si sarebbe dovuta attivare una procedura generale orbitante intorno ai due fuochi, a) del distanziamento sociale o social distance e b) dell’isolamento domiciliare obbligatorio o lockdown. Il piano, peraltro, risultava coerente con le strategie di ridisciplinamento autoritario attivatesi negli USA dopo l’attacco delle Twin Towers.

Il programma dei due medici statunitensi non venne, invero, impiegato nel 2005 e nemmeno negli anni seguenti. Solo nel 2020 arrivò il καιρός, il “momento giusto” per riproporlo. In un’intervista rilasciata il 6 marzo del 2020 all’emittente televisiva del Regno Unito Channel 4, Hatchett ripropose quasi alla lettera il piano, sostenendo che occorreva agire “come se fosse una guerra”: “l’unico modo per fermarlo – affermò in relazione al Coronavirus – sta nelle misure di restrizione dei contatti sociali. Dobbiamo modificare i nostri comportamenti, e dobbiamo farlo adesso”.

Non siamo, allo stato dell’arte, nelle condizioni né di affermare, né di smentire che l’emergenza Covid-19 sia connessa in qualche modo con il bioterrorismo. Possiamo, tuttavia, asserire senza tema di smentita che, come la crisi terroristica, anche l’emergenza epidemiologica, quale che sia la sua reale origine, permette al blocco oligarchico neoliberale di vincere tre volte. L’emergenza, infatti, a) sospende la normale vita democratico-parlamentare, b) limita le libertà e i diritti, riorganizzando il modo di governare cose e persone, e c) impone d’imperio le proprie scelte di classe, presentate ideologicamente come super partes, come la sola via possibile per sopravvivere all’emergenza potenzialmente mortifera.

Che sia il salvataggio delle banche (2007), la limitazione della privacy dei cittadini contro il terrorismo (2001) o la riorganizzazione della società e dell’economia intorno al nuovo principio del “distanziamento sociale” (2020), la scelta politica di classe si presenta, così, come ricetta di salvezza generale nella crisi e si giustifica nella sua immediatezza con l’esigenza di fronteggiare – nel caso specifico del SARS-CoV-2 – l’attacco del “nemico invisibile”.

La crisi – Foucault docet – presenta sempre un’opzione specifica come se fosse ineludibile nella sua urgenza, tale da non consentire né alternative, né deroghe, né discussioni democratiche. Scelte politiche chiaramente ispirate in senso autoritario e regressivo, e decisamente a vantaggio del polo dominante, vengono presentate in modo ideologico come oggettivamente dettate dalla situazione emergenziale. Di più, sono additate come sole vie per salvare la vita dalla catastrofe in corso.

In tal guisa, non soltanto la ristrutturazione della società, della politica e dell’economia viene univocamente gestita dal blocco dominante ad usum sui e subita passivamente dal polo dominato, secondo un classico esempio di “rivoluzione passiva” nel senso gramsciano: di più, tale ristrutturazione è contrabbandata ideologicamente come salvifica per tutti, grazie alle prestazioni ad alto tasso ideologico – nel caso della presente emergenza – del discorso
medico-scientifico.