L’identità esiste nella relazione con la differenza

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Il noto proprio perché è noto non è conosciuto. Esordisco con queste parole di Hegel per rammentare che il dialogo tra le identità culturali può registrarsi solo ove le identità esistano, nei loro confini e nelle loro reciproche differenze: ossia, solo ove non si annullino nell’indifferenziato, dis-identificandosi, o, alternativamente, non si trincerino in se stesse, murandosi nei propri confini.

Detto altrimenti, solo chi dispone di un’identità può rispettare quelle altrui e dialogare con esse: chi non ha identità, non può rispettare quelle altrui, proprio come chi, murandosi nella propria identità, la perde, dacché essa può esistere solo nella sua essenza relazionale. L’identità, come si è evidenziato in Difendere chi siamo, esiste nella sua costitutiva relazione con la differenza: relazione che però, per essere realmente tale, non deve risolversi nello scioglimento dell’Io nel Tu, secondo il complesso della antica Eco, proprio come non deve annullarsi nell’autoreferenzialità dell’Io trincerato in se stesso e incapace di aprirsi al Tu, secondo il complesso di Narciso.

È quanto insegna anche la vicenda autobiografica narrata da Jean-Luc Nancy con L’intrus (2000). Raccontando per la prima volta l’esperienza del proprio trapianto cardiaco, il filosofo francese si interroga radicalmente e da un punto di vista particolarissimo sulle categorie di identità e di differenza. Anzitutto, l’altro, l’intrus, è, nel caso del trapianto, ciò che salva la vita umana: senza l’apertura all’alterità, ospitata nel proprio spazio vitale, la vita letteralmente si annullerebbe.

Se le difese immunitarie fossero troppo alte, alla stregua di un muro respingente, il contatto negato con l’alterità produrrebbe l’esatto opposto della protezione di cui si è in cerca. Ne seguirebbe quella che, in termini medici, si appella la “crisi di rigetto”. Un risultato analogo, tuttavia, si otterrebbe anche se a prevalere fosse la tendenza opposta, ossia quella a un completo abbassamento delle difese immunitarie: se, in altri termini, l’Io si aprisse incondizionatamente all’Altro, rinunciando a ogni difesa e a ogni suo confine, la vita finirebbe egualmente per essere annichilita.

Nella Scienza della logica, Hegel chiarisce questo plesso teorico richiamandosi al concetto di “innocenza” (Unschuld). L’innocenza originaria, transitata per l’immane potenza della negazione della propria “inseità” (an-sich-sein) originaria e apertasi all’essere altro da sé, diventa autocoscienza, consapevolezza e, in una parola, “perseità” (für-sich-sein). È ora pienamente se stessa, ma a un livello più alto, dacché non è più un in sé immediato e introflesso, ma un in sé e per sé, consapevole della differenza con l’altro da sé.

In sé considerata, l’innocenza dell’identità con se stessi “non è né positiva né negativa” ed è gleichgültige Identität mit sich, “indifferente identità con sé”. Negandosi come in sé e aprendosi all’essere-altro-da sé, l’identità può o distruggersi e perdersi nell’altro o, in senso positivo, in ihren Grund zurückgehen, “tornare al proprio fondamento” arricchita dalla mediazione e dal processo.

Secondo la narrazione della Fenomenologia, la coscienza deve percorrere la via crucis che la porti a superare l’estraneità dell’essere-altro-da-sé (l’identità altrui) e a riconoscere sé nel proprio essere-altro-da-sé: è solo su queste basi che le differenti identità, lungi dall’annullarsi a vicenda, possono aprirsi al dialogo centrato sul nesso di identità e differenza. Tale dialogo si fonda sul riconoscimento pieno della propria identità mediante il confronto con quella altrui, a sua volta riconosciuta come differente o, più precisamente, come una differente manifestazione della comune umanità come universale concreto, che esiste nella pluralità delle identità e delle culture.                                                  

Per questo, risulta profondamente falso il teorema anti-identitario su cui il cattivo universalismo della globalizzazione si regge. Amare, difendere e valorizzare la propria identità non significa, ovviamente, disprezzare, offendere e denigrare l’identità altrui. Significa, anzi, rispettare tutte le identità, a partire dalla propria. Chi negasse quelle altrui, starebbe per ciò stesso negando anche la propria, che esiste solo nella relazione con esse. Analogamente, chi negasse la propria identità, non potrebbe davvero rispettare nemmeno quelle altrui.

Ne segue che, come mostrato in Difendere chi siamo, il pericolo per l’identità – propria e altrui – non è rappresentato da quanti ancora dispongano di un’identità, vuoi anche di un’identità fortissima, bensì da due diverse categorie: a) da coloro i quali, non avendone una, non possono realmente rispettare l’identità in quanto tale e, di conseguenza, aspirano alla dis-identificazione universale, alla polverizzazione di ogni identità; b) da quanti pietrificano la propria identità in un’essenza solida e non relazionale, granitica e senza porosità, e, per questa via, finiscono per negarla anziché per tutelarla.