Mattarella, ultimo atto (forse)

Negli anni, come spesso mi sono trovato costretto a scrivere, l’italiano medio si è assuefatto all’abitudine: verso una politica che non ne conosce le relative problematiche quotidiane, verso scelte che non rispecchiano la propria volontà, verso una retorica che resta ancora troppo imperante, e sicuramente imbarazzante, nel corpus di quell’arte comunicativa adottata dalle istituzioni. Si sa, quella di fine anno che accomuna ogni discorso di ogni Presidente della Repubblica è la “necessaria” ipocrisia che, però, consegna un quadro fantasioso totalmente scollato da quella che risulta, invece, essere la tipica realtà di ogni nostro concittadino. Ma non quest’anno, non nell’ultimo (forse) discorso di Sergio Mattarella.
Sì, non è mancata la solita retorica, soprattutto riferita ad un’improbabile “ripresa reale” in atto – “Eppure ci siamo rialzati” (???) – nel nostro Paese, ma ciò non distolga l’attenzione dalla palese ammissione di fallimento dell’ennesimo mandato dell’ennesimo Capo del Quirinale – almeno per ciò che intenda la Costituzione in relazione al ruolo del succitato, ed escludendo direttive di altra natura - , quando accenna a “squilibri o addirittura ingiustizie” sociali o ad “una ancora troppo diffusa precarietà” che scoraggia i giovani nel costruire famiglia e futuro, la quale va a sommarsi ad una “forte diminuzione delle nascite”, che sancirebbe la morte della nostra patria. Tali affermazioni rappresentano la denuncia inequivocabile di quanto questi sette anni siano stati un'enorme, plateale perdita di tempo, se non l'incancrenirsi di una condizione diffusa già in netta e costante degenerazione. E l’usuale esortazione rivolta ai giovani, con il ricorrente invito a “prendersi il futuro”, si scontra insopportabilmente con quanto prodotto negli ultimi anni per coloro che dovrebbero assumersi l’onere di passare il testimone a chi verrà dopo di noi.
C’è da dire che l'ultimo biennio non è stato oggettivamente felice per coloro che hanno dovuto farsi carico di scelte che hanno rappresentato un unicum per le recenti generazioni. E fa bene Mattarella a ricordare “la sensazione di impotenza e di disperazione che respiravamo nei primi mesi della pandemia di fronte alle scene drammatiche delle vittime del virus”. “Il loro lutto è stato, ed è, il lutto di tutta Italia”, davvero.
“La pandemia ha inferto ferite profonde. (…) Sovente chi già era svantaggiato è stato costretto a patire ulteriori duri contraccolpi.” Ma perché rivolgere “un pensiero riconoscente ai Presidenti del Consiglio e ai Governi che si sono succeduti in questi anni”, meritevoli di aver garantito la governabilità, evitando “pericolosi salti nel buio”? Dare voce al popolo, “soprattutto in alcuni passaggi particolarmente difficili e impegnativi”, rappresenta non solo fiducia nei cittadini ma soprattutto il riconoscere loro quella sovranità che ancora, ed inesorabilmente, risulta latente. E’ inaccettabile che gli italiani abbiano effettivamente ed inconfutabilmente scelto il proprio ultimo rappresentante nel lontano 2008, succeduto da ben sette governi che il popolo non ha né chiesto né, ovviamente, eletto. Quindi, la presunta stabilità di cui parla Mattarella non è figlia della Costituzione, così come nelle intenzioni democratiche dei padri costituenti, bensì di giochi di palazzo che puntano a garantire la solidità di poltrone che, invece, sarebbero già state bocciate dal corpo elettorale, privato di ogni strumento decisionale civile.
I meriti inequivocabilmente ed imprescindibilmente da evidenziare sono quelli di un’Italia che non si è mai arresa, di un tessuto sociale che ha manifestato “l’attitudine del nostro popolo a preservare la coesione del Paese, a sentirsi partecipe del medesimo destino”, che è e rimane “il volto reale di una Repubblica unita e solidale”, l’unica di cui siamo fieri e la sola a cui non è mai stata chiesta opinione da troppo tempo.
In ultima analisi, egli mente sapendo di mentire allorquando parla di una “quasi totalità di italiani” i quali avrebbero “scelto di vaccinarsi”. E la sonora smentita arriva proprio dal governo in carica, quando disquisisce su un’eventuale introduzione di obbligo vaccinale, con il 90% di popolazione già “immunizzata” (o almeno lo si presupponeva) e solo mediante l’ipocrita ricatto di una carta verde che ha rappresentato un’eloquente sconfitta per coloro che continuano a voler detenere il potere senza assumersene le concernenti responsabilità.
Comunque sia, l’attuale inquilino del Colle, iperdecisionista con l’”indecifrabile” (beh!) veto sul ministro Savona – ai tempi del duo Di Maio/Salvini – e troppo poco caparbio nel garantire sostegni agli italiani fortemente danneggiati dalla pandemia, non è stato il peggior Presidente che l’Italia Repubblicana abbia conosciuto, la cui infausta classifica rimane condotta dall’intramontabile Re Giorgio I.