Percezione del rischio sul lavoro al tempo di Covid-19 - 2ª Parte

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3. Cultura della prevenzione: informazione e formazione
Molti uffici espongono in bella mostra la celebre fotografia scattata a New York nel 1932 sulla sommità del grattacielo Rockefeller Center in costruzione. La foto - quasi a voler enfatizzare la possibile totale assenza di percezione del rischio - ritrae undici operai che, seduti su una trave protesa nel vuoto, consumano il pranzo in assoluta tranquillità ad una vertiginosa altezza.
Peccato però che gli storici concordano nel ritenere quella immagine “costruita” con operai “messi in posa” (come peraltro sperimentato personalmente dal sottoscritto nel visitare il grattacielo del Rockefeller Center).
Oggi tuttavia, a dispetto di simili suggestivi messaggi pubblicitari, l’affermazione dei diritti umani e l’accentuarsi dei profili di responsabilità etica e giuridica, attribuiscono sempre maggiore importanza alla prevenzione, centrata appunto sulla sicurezza e sulla salute individuale e sociale.
Tutto ciò non comporta la delegittimazione del giusto profitto di impresa derivante dalla libertà di iniziativa economica privata. La quale è riconosciuta dall’art. 41 Cost., a condizione che non sia “in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana”.
In tale contesto, allo scopo di rendere diffuse e adeguate la percezione e la consapevolezza dei rischi (e dei pericoli) che si celano negli ambienti di lavoro, l’art. 36 del citato T.U. n. 81/2008 impone al datore di lavoro l’obbligo di informare i singoli lavoratori sui rischi generici e specifici ai quali essi sono esposti, unitamente alle altre persone presenti sul luogo di lavoro.
Le suddette informazioni devono essere facilmente comprensibili anche ai lavoratori immigrati attraverso la verifica di un percorso finalizzato alla comprensione della lingua utilizzata.
Il successivo art. 37 dello stesso T.U. prescrive poi che il datore di lavoro deve assicurarsi “che ciascun lavoratore riceva una formazione sufficiente e adeguata in materia di salute e sicurezza”. Dunque la politica aziendale per la sicurezza è quella volta a mettere a disposizione dei lavoratori un bagaglio culturale in grado di renderli responsabili, come esige espressamente l’art. 20 del medesimo T.U. n. 81/2008.
In particolare, le materie informative-formative devono riguardare i concetti di rischio, di danno, di prevenzione, di protezione e di organizzazione della prevenzione aziendale.

4. Altre responsabilità al tempo di Covid-19
L’emergenza sanitaria causata dalla pandemia da Covid-19, e le conseguenti pandemia economica e pandemia sociale hanno sconvolto il mondo intero, costringendolo in più ristretti stili di vita (e di libertà).
Nel rivoluzionare il preesistente assetto socio-economico, le citate “pandemie” comportano anche il ripensamento dell’intero sistema delle prestazioni lavorative.
Infatti, il lavoro dell’era post-globale (del dopo-Covid) sarà certamente più flessibile, più innovativo e più creativo. L’opportunità è data in specie dallo smart working, già introdotto dalla legge n. 81/2017 sul lavoro agile.
Tale strumento è ora utilizzato in particolare dagli istituti scolastici, costretti a ricorrere alla didattica a distanza (dad), in realtà con scarso coinvolgimento degli insegnanti e degli studenti.
Si prospettano comunque a carico del datore di lavoro nuove preoccupazioni e nuovi adempimenti, con relativo aggravio dei costi spesso al limite della sostenibilità economica.
Infatti, facendosi interprete del diffuso timore di contagio del morbo all’interno dei luoghi di lavoro, l’impresa “etica” è ora tenuta al costante aggiornamento e monitoraggio delle misure di prevenzione da adottare (distanziamento interpersonale, uso di speciali dispositivi individuali e collettivi di sicurezza, puntuali controlli sanitari, tutela della privacy...).
La corretta applicazione delle suddette misure - oltre ad escludere la responsabilità penale e risarcitoria anche dei dirigenti e dei preposti - impedisce altresì l’applicazione delle sanzioni amministrative e interdittive previste dal Dlgs. 231/2001 sulla responsabilità amministrativa delle persone giuridiche private; ciò soprattutto nelle ipotesi del reato-presupposto di infortunio grave sul lavoro (art. 25-septies decreto 231).
Dopo gli iniziali discutibili orientamenti circa la pretesa esistenza di una sorta di colpa del datore di lavoro per presunzione semplice, la dottrina e la giurisprudenza ritengono che i datori di lavoro, pubblici e privati, assolvono ai prescritti obblighi anti Covid quando risultino applicate le misure di prevenzione generale prescritte dal più volte citato art. 2087 Cod. Civ.
In questo ambito giova la puntuale applicazione del Protocollo di buone pratiche del 24 aprile 2020, condiviso tra il Governo e le parti sociali. Vale altresì al riguardo l’osservanza delle successive integrazioni normative di cui ai DPCM “seriali”, e di cui al lungo corollario di ordinanze dall’incerta fonte giuridica, senza infine trascurare i più “sartoriali” Protocolli integrativi territoriali di sicurezza aziendale.

 

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