Quarta navigazione. O dell'andare controcorrente

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La metafora nautica esercita, da sempre, un’incidenza decisiva nell’immaginario dei filosofi. Almeno da quando il divino Platone, nel “Fedone”, inventò l’immagine del “deuteros plous”, della “seconda navigazione” necessaria per approdare agli ascosi lidi delle idee immutabili. La seconda navigazione è quella che si intraprende allorché non soffiano i venti ed è, di conseguenza, fare affidamento ai remi e alla forza dei muscoli.

Dopo Platone, fu Agostino a riprendere la metafora nautica. Lo fece mettendo a tema la “terza navigazione”: che è quella indispensabile per innalzarsi al regno della trascendenza, ove l’intelletto, da solo, mai potrà ergersi in assenza della Rivelazione.

Sempre richiamandoci alla tradizione filosofica che ha fatto grande l’Occidente, che oggi rischia di sparire per sempre nel mare infinito del nichilismo, possiamo, forse, codificare l’esigenza di una quarta navigazione. È la navigazione che il pensiero è oggi chiamato a compiere, procedendo contro le correnti del politicamente corretto e dell’eticamente corrotto, ovunque imperanti.

È, in sostanza, la difficile navigazione di quanti, anziché farsi trasportare dalle correnti, scelgono di procedere in direzione ostinata e contraria, sfidando – come scriveva il Nietzsche della seconda delle “Considerazioni inattuali” – le onde della storia.

V’è più che mai esigenza, oggi, nell’evo della bonaccia del pensiero e del ristagno della storia, di pensare altrimenti: di ricartografare il reale, ad esso guardando da nuove prospettive e con inedite sintesi.

Ciò significa, anzitutto, rigettare senza mediazioni il punto di vista dominante, che poi altro non è se non il punto di vista dei dominanti: quello, in sintesi, che vorrebbe convincerci circa l’esigenza di soggiornare per sempre nel ben levigato spazio non libero della nuova caverna globalizzata, amando le nostre catene e battendoci in loro nome.

Nel tempo dei banchi delle Sardine, che seguono la corrente e fuggono non appena incontrino un possibile pesce più grande di loro, è bene essere salmoni: è bene, cioè, procedere obstinate contra, risalendo la corrente con intenti progettuali, come fa il salmone, che sfida l’andamento unidirezionale delle acque per andare a deporre le proprie uova, per lasciare qualcosa al futuro.

Ciò che c’è non è tutto. A patto che lo pensiamo altrimenti, ossia come non definitivo, né esclusivo.