Una pandemia yo-yo…

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Non ho la sfera di cristallo. E dunque non posso sapere cosa sarà. Posso, tuttavia, formulare alcune previsioni ragionevoli sul fondamento di ciò che finora è stato. E lo farò seguendo la “logica del concetto”, diremmo con Hegel. Perché, in effetti, pare davvero esservi del metodo nella follia che stiamo ormai da più di due mesi scontando sulla nostra pelle.

La tesi che intendo proporre, in sintesi, è che dopo la fase 2 vi sarà la fase… 1. Dopo un breve periodo con temporaneo allentamento della reclusione – che, comunque, non verrà affatto meno del tutto, sia chiaro –, si tornerà più o meno celermente alla fase 1. E ciò dacché il virus tornerà a prosperare in forma pandemica. Di più, i padroni del discorso, gli ubiquitari monopolisti della parola, ci diranno che è colpa nostra: sì, se il virus avrà ripreso a diffondersi incontenibile, ciò sarà per colpa nostra. Perché non avremo seguito fino in fondo le prescrizioni del distanziamento sociale, perché saremo stati disobbedienti o, comunque, non abbastanza obbedienti.

Come sapeva Dante, “la piaga de la fortuna” “suole ingiustamente al piagato molte volte essere imputata”. Come dire: se ciò accade, è per colpa vostra! E, in tal guisa, si tornerà alla fase 1: reclusione totale, chissà per quanti mesi ancora. Poi, eventualmente, riaffiorerà una nuova fase 2: alla quale seguirà, verosimilmente, una nuova fase 1. E così via, chissà per quanto tempo ancora. Forse fino al 2025, dicono gli esperti di Harvard. Si tratterebbe, in sostanza, di un’“epidemia yo-yo”, con andamento “pendolare”, fatti di temporanei allentamenti parziali (fase 2) e di sempre rinnovati ritorni alla reclusione totale (fase 1).

In sostanza, grazie al sole sempre splendente della narrazione gestita dagli amministratori dello spettacolo e dagli anestesisti del consenso, il popolo continuerebbe a essere trattato come il noto asino con la carota: alle promesse di liberazione accompagnate da temporanei alleggerimenti della “pena”, se così si può appellare, seguirebbero, senza tregua, ritorni alla situazione di partenza, id est agli arresti domiciliari.

Intanto, è sempre più fulgida la scissione che s’è prodotta tra libertà e sicurezza: in nome della sicurezza, stiamo perdendo, una dopo l’altra, le nostre libertà fondamentali. E su questo s’è già detto a sufficienza. Giorgio Agamben ha recentemente portato l’attenzione su un altro aspetto: “abbiamo scisso l’unità della nostra esperienza vitale, che è sempre inseparabilmente insieme corporea e spirituale, in una entità puramente biologica da una parte e in una vita affettiva e culturale dall’altra”. Non si sarebbe potuto dire meglio. In nome della sopravvivenza biologica, abbiamo rinunciato alla vita: che è fatta di legami e di rapporti amicali e amorosi. Fino a quanto accetteremo tutto ciò? Fino a quando non diverrà chiaro come il sole che una vita sicura, ma senza libertà, non è vita, ma schiavitù indegna d’essere vissuta?